Siccità

Eppure piove che Dio la manda…
Bah, oggi sono in vena di sparare cavolate.
Il fatto è che odio avere tempo libero e non avere “ispirazione”, quando so che tra meno di tre settimane si torna sulle barricate.
“Non sono barricate, sono banchi”
“Grazie, Maestro, lo so…”.
Qualcuno spieghi al Maestro il senso del termine espressione metaforica. 
Scrivo, cancello, riscrivo e cancello di nuovo. E non si muove una foglia.
Devo trovarmi un passatempo alternativo, tipo un puzzle da 2000 pezzi con una riproduzione del soffitto della Cappella Sistina.

Bilancio di una sera di mezza estate

Mi sono accorta che quest’anno ho letto molto poco, rispetto ai miei standard.
In realtà non è una stima definitiva perché siamo solo a metà anno, però quello che è vero è che quest’anno mi sono davvero impegnata poco nella lettura e nella scelta di cosa leggere.
Potrei dire che in compenso ho scritto tanto ma nemmeno questo sarebbe del tutto vero. Se per scrivere si intende prende in mano carta e penna e far collidere la punta della penna con la superficie della carta, allora ho scritto moltissimo. Se per scrivere si intende produrre qualcosa di costruttivo (non dico “bello”, non dico “valido”, semplicemente costruttivo), direi che anche su questo fronte questo 2012 si sta rivelando una vera schifezza.
Ho avuto un sacco di idee quest’anno, questo sì. Alcune davvero decenti, forse una persino buona. Ma niente è andato in porto.
Ci si aspetta che avendo finito l’università, avendo del tempo libero in più, uno ne approfitti per fare in modo “equilibrato” tutte quelle cose che prima riusciva a fare solo stando in bilico sulle lancette di un orologio. Bah, sto cominciando a pensare che se manca la giusta cosa di avventura anche le cose che amiamo di più perdono un po’ di sapore… e vuoi mettere l’avventurosità dello scrivere con il quaderno appoggiato sulle ginocchia, seduta sotto una pensilina mentre sulla tettoia sopra la tua testa scroscia la pioggia? O il leggere standosene incastrati tra l’obliteratrice e lo schienale di un sedile di autobus, con la manica del carrello della spesa di una vecchietta conficcata nello stomaco?
Ecco, queste cose le andiamo ad annoverare tra i motivi per cui io a settembre mi iscrivo alla specialistica…

Ci sono ancora più di cinque mesi per salvare il bilancio di questo anno un po’ sgangherato, ma fa caldo, devo convincere me stessa a lavarmi i capelli, fare pace con la mancanza di carboidrati… e l’unica cosa a cui riesco a pensare è una fanfiction che ha come sottofondo (e anche come titolo) questa canzone:

 

Ultim’ora

Ho bisogno di un posto, mio e solo mio. Ho bisogno di sapere con esattezza dov’è che posso rifugiarmi. Dovrei smetterla di scrivere parole a caso su fogli volanti e cercare meglio… il problema è che questo è il solo modo che conosco per cercare.
Immagino che non abbia molto senso scavarmi un solco tra le linee delle mani e pretendere che l’inchiostro ci si incanali, temo non sia molto costruttivo pensare di poter controllare certe cose e passare il tempo a tentare di farlo… è tempo sprecato che non fa altro che aumentare il fragore della guerra che si combatte al di là della trincea in cui me ne sto rintanata. Ma i giorni in cui mi credevo una guerriera sono giorni andati. E questi di adesso sono giorni in cui non so che cosa essere, a parte una mano che stringe una penna.

The importance of being a fanwriter

Scrivere è sempre stata una questione di esigenza e di “irrinunciabilità”. Scrivere fanfiction, curiosamente, lo è ancora di più.
Per molto tempo ho considerato le fanfiction una sorta di palestra (e certamente, da un punto di vista tecnico lo sono), però di recente mi sono accorta di quanto siano ben altro. E sì, la domanda retorica rivolta a me stessa me la sono posta: “ho quasi venticinque anni, non sarebbe ora di lasciar perdere e passare oltre?”. Cioè, ho davvero pensato che fosse ragionevole passare oltre, per un fatto di età, per la vita che man mano che vai avanti si infittisce di cose da fare, per tante cose. Poi mi sono resa conto che anche se si arrivasse ad avere un fisico da culturista non si dovrebbe smettere mai di andare in palestra (e continuando con la similitudine: io e la mia penna non abbiamo affatto un fisico da culturista).
E questo è uno dei motivi per cui so che la risposta alla domanda retorica di cui sopra è: no, ragazza, assolutamente no!
Poi potremmo discutere di quanto sia più bello (e giusto e ragionevole) scrivere una cosa per il semplice fatto che si abbia voglia di farlo. E infine potremmo fare un lungo discorso sullo scrivere qualcosa che noi stessi vorremmo leggere, e quando penso a questo mi rendo conto che è il motivo principale per cui scrivo fanfiction. Io scrivo fanfiction perché mi piacerebbe vedere quel determinato personaggio in quella determinata situazione che non c’è nella storia originaria, che non c’è da nessun’altra parte.
Più precisamente, io scrivo fanfiction perché mi piacerebbe vedere quel determinato personaggio, punto. Più precisamente, perché mi piace dire la mia su quel personaggio, mostrare le sfaccettature che io ho colto e che magari sono diverse da quelle che ha colto qualcun altro, accettando la sfida di provare a mantenerlo nei suoi panni, senza cucirgliene addosso di nuovi.
Ho dedicato molto tempo (quattro anni), molto inchiostro, molta fantasia e molte energie a una determinato personaggio in particolare. Avevo “progettato”, nel corso del tempo, quattro fanfiction lunghe su di lui, due sono state scritte, pubblicate e terminate, una era troppo (scioccamente, aggiungerei) autobiografica perché riuscissi a confrontarmi con quelle pagine e ho preferito cancellarla, un’altra è in dirittura d’arrivo. Penso sempre di aver detto su di lui tutto quello che avevo da dire in quelle storie, un attimo prima di rendermi conto che non si finisce mai di avere qualcosa da dire su un personaggio, soprattutto se lo si ama. Ma sono contenta che nella penna sia rimasto l’inchiostro necessario ad arrivare al mio punto conclusivo.
Come sono contenta del fatto che non c’è raziocinio ed età anagrafica che tenga, non si smette da un giorno all’altro di essere una fanwriter. E per fortuna il mondo è pieno di personaggi da piazzare sotto al proprio caleidoscopio. Al momento, ne ho persino uno in mente…

 

Una grande piccola novità

Ho sempre detto di avere l’immaginazione facile, nel senso che basta molto poco perché la mia testa formuli un’idea per una storia. Ovviamente non scrivo tutto quello che immagino, sarebbe folle sotto parecchi punti di vista e anche se così non fosse, pensare a una storia è molto facile, ma inventare qualcosa che valga la fatica di scrivere è un altro paio di maniche. Perché scrivere è faticoso… su questo penso che moltissimi soggetti scriventi sarebbero d’accordo con me.
Tra l’altro io sono una persona incostante, per cui i progetti a lungo termine non sono una cosa in cui mi lancio a cuor leggero, nemmeno quando si tratta di carta e penna. Non è un caso che la Creatura non sia affatto nata come un progetto a lungo termine; per quel che ne sapevo quando cominciai a battere le dita sulla tastiera, doveva rimanere il racconto autoconclusivo di quaranta pagine che era all’inizio, scritto in una settimana di buca.
Ma la Creatura mi ha insegnato molto, quasi senza che me ne rendessi conto. Mi ha fatto capire un sacco di cose sul com’è e sul come si fa (almeno in termini di pratica, a livello di “valenza artistica” poi non sta a me giudicare).
E adesso eccomi qua, pronta a fare piani di battaglia per affrontare un progetto, quello di un (sì, beh… il termine tecnico è questo) nuovo romanzo. D’accordo, diciamo che è una sfida con me stessa. Intanto perché ho intenzione di darmi una scadenza, un anno di tempo, e poi perché credo che la storia meriti ma so che non è una storia facile.
Non è facile per tanti motivi. Il primo di questi è che la protagonista ha dodici anni.
E dire che sulla carta non sembrava così impossibile… e quando dico sulla carta mi riferisco al fatto che avevo preso un foglio volante per appuntare un paio di cose e nel giro di un pomeriggio mi sono ritrovata con una decina di pagine di block notes piene di roba. La cosa sorprendente non è tanto la quantità, ma il fatto che quelle pagine di appunti siano straordinariamente ordinate e precise, a urlarmi: “vedi, è tutto così chiaro!”. In realtà non lo è, non lo è mai all’inizio, e i particolari da limare sono ancora moltissimi ma c’è una cosa che so: li amo, i personaggi, tutti loro. Non potrei sperare in niente di meglio…

Quel genere di cose…

Come ho detto spesso, io sono una che “inventa” molto o, quanto meno, che ha l’immaginazione facile. Ho un sacco di appunti su storie ideate, spezzoni sparsi di racconti che per varie ragioni non sono mai stati scritti e mai lo saranno… ogni tanto faccio pulizia, ma rimangono comunque un sacco di scartoffie e di file nel pc, e se ne aggiungono in continuazione di nuovi. Non ci faccio nemmeno caso, cioè non la considero una cosa né bella né brutta; come dicevo, alla fin fine, in mezzo a tutto questo “ciarpame immaginifico”, sono ben poche le cose che meritano il tempo e la fatica necessaria all’attività scrittoria, però penso che sia meglio avere tanti spunti che non averne.
Quello che mi da da pensare ogni volta che passo in rassegna le scartoffie e i file di cui sopra, è l’enorme varietà di “generi” e di “stili”… e a questo punto mi chiedo se sono eclettica e “instabile” di natura o se è perché ancora non ho trovato la mia strada riguardo a quello che mi piacerebbe davvero fare “scrittoriamente” parlando. Me lo chiedo e tento anche di rispondermi, mi dico che sono eclettica in tutte le altre cose: libri che leggo, film che guardo, musica che ascolto, gusti culinari persino… e allora perché non dovrei esserlo anche in quello che scrivo? Sembrerebbe abbastanza logica come cosa ma non lo è, perché quando mi immagino “scrittrice*” mi immagino una scrittrice “di genere”, che non credo sia meglio o peggio di altro, semplicemente mi piace l’idea che eventuali lettori che potrebbero avvicinarsi alle mie storie e avere voglia di leggerle, lo facciano sapendo a cosa vanno incontro e che siano lettori che amano un certo genere di cose.
Poi non voglio stare qui ad addentrarmi nelle discussioni sul “genere” in quanto “etichetta”, sull’importanza o sull’inutilità di classificare i libri perché i librai devono sapere su che scaffali metterli, sui canoni che determinano stereotipi e quant’altro… è un discorso complesso che non fa nemmeno per me. Ci sono storie dove il “genere” salta all’occhio, che il libraio può collocare facilmente su uno scaffale senza timore di far confusione, e storie dove non è così semplice. Dipende tutto da quello che uno vuole fare, io so cosa voglio fare e non scrivo per adattarmi a un canone, semplicemente so che convenzionalmente quel genere di cosa si chiama così.
Dicevo, so che genere mi piace e cosa voglio fare e lo so perché sono quasi tre anni che lavoro a una saga “di genere” e mi piace da matti. Parlo della Creatura che, molto tranquillamente, per la pace di eventuali librai e per il palato di eventuali lettori, può essere classificata come “urban-fantasy”. Amen.
(A proposito della Creatura, ci sto tornando a lavoro…).
Mi piace l’urban-fantasy… vogliamo aprire la parentesi della moda? No, non la apriamo, tanto pare che il boom stia scemando. Mi piace scriverne, soprattutto…
Eppure penso a tutti gli altri progetti che mi stanno a cuore e mi accorgo che la Creatura è l’unica cosa che rientra nel genere che mi piace, in quello che ho “scelto”… penso alle fanfiction, alle tre long-fic su The Phantom of the Opera che sono quasi diametralmente opposte alla Creatura, sia come stile scrittorio sia come genere. E ho adorato scriverle. E penso a una storia che ho scritto tre anni fa e che ho riletto in questi giorni (un meraviglioso “peccato di gioventù”), che ha avuto il merito di far nascere il personaggio che è poi diventato (in una versione opportunamente riveduta e corretta) la protagonista della Creatura… ah, Alex, croce e delizia delle mie ore da scribacchina! E penso anche a tutti gli altri soggetti appuntati in giro… c’è solo un altra storia che rientra nel genere.
Insomma, per quanti tentativi io faccia, la domanda chi mi pongo riguardo al mio orientamento scrittorio resta ancora senza risposta…
(Ma no, non è un problema… sono certa che il mio mononeurone sopravviverà).

* oh, potremmo ampiamente discutere della mia concezione della parola scrittore, ma magari un’altra volta… vi basti sapere che faccio la differenza tra “scrittori” in senso stretto e “soggetti scriventi” in senso ampio. Tutti gli artisti creano, non tutti quelli che creano sono artisti!

Leggendo Schmitt

  

In questi giorni ho letto un libro che mi è piaciuto molto. Si intitola “Concerto in memoria di un angelo” ed è composto da quattro racconti legati da un filo comune: un personaggio e qualcosa che lo mette in crisi. E Santa Rita, la santa delle cause perse…
L’autore è Eric-Emmanuel Schmitt, lo stesso di “Monsieur Ibrahim e i fiori del Corano”.
Quando finisce l’ultimo racconto, si gira la pagina e si trova una nota dell’autore: “Ho scoperto che l’abitudine di aggiungere alle seconde edizioni dei miei libri il giornale di bordo che ne ha accompagnato la scrittura è un’iniziativa che i lettori gradiscono, così, per la prima volta, ho deciso di non attendere la ristampa…”.
A seguire, una quindicina di pagine con estratti del diario di Schmitt.
Leggendo quelle quindici pagine ho scoperto che ci sono molte cose sulle quali io e Schmitt non siamo d’accordo e, personalmente, l’idea di mettere in appendice a un libro il “diario di bordo” del viaggio che mi ha portato a scriverlo è una cosa che trovo… sconvolgente. Un po’ come un prestigiatore che rivela il trucco dietro la magia.
Non penso che “conoscere” qualcosa di più dello scrittore o di come ha scritto un libro influenzi il lettore (non in linea di massima, almeno, poi dipende dal lettore)… però preferisco che lo scrittore eviti, quanto meno, io eviterei. E io sono una a cui piace molto parlare di cosa, come e perché scrivo. E sono anche una persona che un anno e mezzo fa ha ripreso l’abitudine a tenere un diario per parlare di scrittura e poi è finita a raccontare tutt’altro tra quelle pagine.
Eppure tra gli spezzoni alla fine del libro ce n’è uno che parla del primo racconto della raccolta e che sarei pronta a controfirmare davanti a un notaio:

“L’avvelenatrice”.
Come sempre, il personaggio a cui presto la mia penna si impossessa di me. Eccomi trasformato in un’anziana signora (ci sono abituato), serial killer di provincia (già meno abituato).
Come fanno gli scrittori di gialli a condurre una vita normale? Tremo per le persone che mi stanno accanto… Da qualche giorno sono diventato contorto come la mia assassina, non sento più alcuna bontà d’animo, uccido la gente col pensiero e ne godo. In cucina, invece di olio e aceto vedo ampolle di veleno, e preparando le mie salsette concepisco cose orribili. Ieri sera ci sono quasi rimasto male portando a tavola una fricassea di funghi che non aveva dentro niente di minaccioso.
Il personaggio non mi lascia più, anche quando non scrivo. Mi abita, e certe volte parla al posto mio. Non solo il ruolo mi si incolla alla pelle (e non sarebbe grave) ma anche allo spirito. Mobilita tutto ciò che in me gli somiglia. Se creo un personaggio cattivo, la mia cattiveria si esalta.
Già scrivendo La parte dell’altro, il mio romanzo su Hitler, avevo tremato…
Ieri notte ero talmente turbato che, per calmarmi, ho pensato che potrei cominciare a scrivere una biografia di San Francesco d’Assisi. O di Casanova…

Giochi di prestigio e di inchiostro

Al di là di quello che sarà il risultato finale, devo ammettere che in tutto questo tempo la Creatura ha avuto se non altro il merito di insegnarmi molte cose. Molte cose sullo scrivere e sul mio modo di scrivere, e anche sulla mia visione del mondo e su me stessa.
C’erano cose che riguardavano la magia dello scrivere sapevo per “sentito dire” e non ero nemmeno sicura che fossero vere, e invece ho scoperto che non solo sono vere, ma sono anchedavvero magiche.
Ritornare a lavoro sulla Creatura è stato anche meglio di quanto mi aspettassi, nonostante il Secondo Racconto mi fa cadere le braccia ogni volta che ci penso (ma ci stiamo lavorando…). E poi è successa una cosa…
C’è un certo filo rosso che lega i racconti, una cosa avvenuta in un passato remoto rispetto al tempo della storia con la quale di fatto i personaggi e la loro storia non c’entrano molto, fino a quando qualcuno non decide di trascinarceli quasi per caso.
L’altro giorno ho pensato: e se quel tale personaggio fosse in realtà qualcun altro, collegato a quella cosa del passato non solo per caso o per volontà di altri? Lo ammetto, mi sono sentita molto orgogliosa di questa idea per tutte le implicazioni che avrebbe all’interno della trama, mi è piaciuta tanto la cosa, e alla fine mi sono detta: “Ok, ora però c’è da sistemare le cose affinché questo particolare si inserisca nella trama…”, poi ci ho pensato meglio e mi sono accorta che no, non c’è proprio niente da sistemare, che è tutto già come deve essere affinché quel personaggio sia chi e cosa deve essere. Dei particolari che a me sembravano solo particolari che avevo inserito a beneficio del senso di veridicità non sono più particolari, sono indizi sull’identità del personaggio…
In altre parole, la mia idea era già nella storia ancora prima che io la pensassi. Se non è magia questa…